Incontro di preghiera ecumenica con l’Arcivescovo e i rappresentanti delle altre Chiese cristiane

La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si sta vivendo in tutte le comunità cristiane cattoliche, riformate e ortodosse, sul tema “Cristo non può essere diviso», avrà il suo momento conclusivo a Udine sabato 25 gennaio, alle ore 18 nella chiesa Evangelico-Metodista in piazzale D’Annunzio, con un incontro di preghiera ecumenico presieduto dall’Arcivescovo di Udine, mons. Andrea Bruno Mazzocato, dal pastore valdese metodista  rev. Marco Fornerone, dal parroco della parrocchia russa dell’Esaltazione della Croce p. Volodymir Melnychuk, dal parroco della parrocchia serba di S. Stefano Brancovic p. Rasko Radovic e dal parroco della parrocchia Romena di S. Basilio il Grande p. Iustinian  Deac.
 
“L’unità dei cristiani e delle chiese non è una questione che riguarda gli esperti di ‘ecumenismo’, ma tocca il cuore dell’esperienza di fede di ogni cristiano e delle singole comunità locali – spiega mons. Rinaldo Fabris, presidente della commissione diocesana per l’ecumenismo e il dialogo -. La presenza sul territorio della nostra Diocesi di cristiani e chiese di diversa denominazione, riformati e ortodossi – rumeni, russi e serbi- sollecita ogni pastore responsabile a riflettere e pregare insieme con la sua comunità sul cammino che Dio traccia a tutti per ritrovare l’unità”.

Il gusto e la passione per l’annuncio del Vangelo di Dio – continua mons. Fabris citando l’esortazione apostolica di Papa Francesco Evangelii gaudiumoggi si intrecciano con l’impegno pastorale per allargare l’orizzonte della nostra fede da vivere e testimoniare con tutti i cristiani.

 
 
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“Cristo non può essere diviso” (1Cor 1,1-17) è il tema della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si celebra dal 18 al 25 gennaio 2014.
Come ogni anno è stata inviata a tutte le parrocchie la “Guida” per gli otto giorni di preghiera.
 
E’ dal 1908 che i cristiani delle varie confessioni cristiane, nella settimana dal 18 al 25 gennaio di ogni anno, pregano per ritrovare l’unità spezzata nel corso dei secoli. In realtà, come ci fa capire Paolo nella prima Lettera ai Corinzi, il rischio della frammentazione tra i credenti, battezzati nel nome di Gesù Cristo, è presente fin dagli inizi. La divisione delle chiese, prima tra oriente e occidente, poi tra nord e sud dell’Europa, ha radici storiche e culturali, ma alla fine tutte si riducono a una deformazione della fede cristiana. Solo Gesù Cristo, con la sua morte di croce, come atto estremo di amore unisce tutti gli esseri umani tra loro e con Dio. Quando al posto dell’adesione di fede a Gesù Cristo crocifisso e risorto, si sostituisce un sistema dottrinale o un apparato disciplinare, i cristiani si trovano divisi gli uni contro gli altri in nome del proprio prestigio o interesse spesso anche economico.
 
I cristiani che formano la chiesa di Dio che è in Friuli, nel contatto con altri cristiani provenienti dall’est e dal sud del mondo, hanno modo di constatare la varietà e la diversità delle appartenenze ecclesiali. Perché siamo divisi? Perché non possiamo fare l’eucaristia insieme, se condividiamo la stessa fede in Gesù Cristo? Questi interrogativi non si risolvono con scelte frettolose e arbitrarie, cancellando una lunga storia di divisioni e contrapposizioni. La settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani non è solo un appuntamento formale, un “armistizio” per continuare a ignorarsi e contrapporsi tra le diverse chiese cristiane. Pregare non è delegare a Dio i problemi che dobbiamo affrontare e risolvere tra di noi, ma è un impegno che si prende davanti a Dio per cambiare modo di pensare e di vivere i rapporti tra le chiese e dentro le chiese.
 
Alcuni spunti per riflettere sulla prima Lettera di Paolo ai Corinzi proposti da Mons. Rinaldo Fabris, presidente della Commissione diocesana per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso
 
La prima Lettera di Paolo ai Corinzi è indirizzata alla «chiesa di Dio che si trova in Corinto». Anche se minacciata dalle tendenze al frazionismo e alle contrapposizioni dei vari gruppi, l’apostolo invia la Lettera «alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata…» (1Cor 1,2). Grazie all’annuncio del Vangelo, fatto da Paolo agli inizi degli anni cinquanta d.C., a Corinto è nata l’ekklēsía di Dio. La chiesa sorta per iniziativa di Dio, che convoca i credenti mediante l’annuncio del Vangelo, si radica e vive in un luogo preciso, è “la chiesa locale”. L’appellativo “santi”, riferito ai cristiani, proviene dalla tradizione biblica, dove indica i membri del popolo di Dio, a lui consacrati e impegnati a vivere l’impegno dell’alleanza (Es 19,6; Dan 7,18).
 
Dopo l’intestazione Paolo rende grazie a Dio che per la sua iniziativa gratuita e generosa ha arricchito i cristiani di Corinto di ogni dono spirituale. In particolare Paolo richiama i carismi della “parola” e della “conoscenza”, che abilitano i cristiani a pregare e parlare sotto l’azione dello Spirito. Il ringraziamento di Paolo sfocia in un’invocazione, che riguarda l’attesa della rivelazione del Signore Gesù Cristo. L’esistenza cristiana si svolge tra la chiamata iniziale di Dio, avvenuta mediante il Vangelo, e l’incontro finale in cui si compie il suo disegno salvifico. Paolo rassicura i fedeli sul loro futuro. Dio, che li ha chiamati a far parte della sua ekklēsía, porterà a compimento la sua iniziativa, perché fin d’ora essi sono in comunione con il Figlio suo. Dio, al quale Paolo rivolge la sua preghiera di ringraziamento, è pistós, “fedele”.
 
Nella prima parte della Lettera Paolo affronta la questione dell’unità dei cristiani di Corinto, che formano la chiesa di Dio e sono in comunione con il Figlio suo Gesù Cristo. Nella chiesa di Corinto alcuni cristiani si contrappongono agli altri, appellandosi ai vari predicatori itineranti. Questi gruppi contrapposti si creano anche per il fatto che i cristiani si riuniscono nelle case di qualche “fratello” benestante, simpatizzante per l’uno o per l’altro predicatore. L’apostolo, che si trova a Efeso, è stato informato di questa situazione dai dipendenti di Cloe, una cristiana conosciuta a Corinto. Per risolvere questa crisi di unità e coesione ecclesiale, Paolo ripropone il nucleo dell’annuncio cristiano: Gesù Cristo morto in croce e risorto per la potenza di Dio.
 
Paolo esorta i fedeli di Corinto all’unità nel loro modo di sentire e di parlare: «Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire». Egli prende lo spunto dal fatto che i diversi gruppi a Corinto s’identificano mediante gli slogan, che indicano l’appartenenza all’uno o all’altro personaggio: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «Io invece di Cefa», «E io di Cristo». L’ultima espressione potrebbe essere un’aggiunta di Paolo, che in tal modo mostra l’assurdità della posizione dei Corinzi. Essi vorrebbero definire la propria identità grazie al rapporto con un personaggio importante. Allora la relazione vitale con Cristo, che sta alla base dell’unità di tutti i credenti, viene spezzata. A questo punto Cristo è ridotto a un capo-fondatore accanto agli altri. I cristiani di Corinto sono tentati di riprodurre quello che capita nelle varie scuole filosofiche e associazioni religiose, dove si fa riferimento a un caposcuola o capocorrente. In realtà tutti i cristiani, mediante il battesimo, sono inseriti in Gesù Cristo per formare in solo corpo.
 

Paolo porta allo scoperto la radice profonda della crisi che minaccia l’unità ecclesiale dei Corinzi. La contrapposizione tra i diversi gruppi, in nome di uno o dell’altro personaggio, deriva dal bisogno di autoaffermarsi e dalla ricerca del prestigio. In tale contesto l’esperienza cristiana è ridotta a una “conoscenza”, dove quello che conta è l’abilità a ragionare e a discutere su Dio. Paolo allora dice ai cristiani di Corinto che essi rischiano di stravolgere completamente il Vangelo. Egli, infatti, ha annunciato loro Gesù Cristo morto in croce, senza far ricorso alla sapienza umana né agli artifici della retorica: «Cristo, infatti, non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo».

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