«Rimanete nel mio amore»: la Lettera Pastorale per l’anno della Carità

«Il primo programma della Chiesa è quello di riaccendere nei cuori l’amore». Così l’Arcivescovo di Udine, mons. Andrea Bruno Mazzocato, in conferenza stampa a Castellerio per la presentazione della sua nuova lettera pastorale «Rimanete nel mio amore» incentrata sulla virtù della Carità, tema dell’Anno pastorale ormai alle porte. E siccome la carità, l’amore, sono pratici, si fanno –  «e corriamo il rischio di avere la presunzione di sapere che cosa vuol dire amare» ha evidenziato l’Arcivescovo – «la prima parte della lettera pastorale è dedicata al fare, e al contempo all’imparare e per imparare ci vuole un buon maestro. I cristiani hanno Gesù che ha detto loro “Rimanete nel mio amore” . Do dunque alcune indicazioni per capire che cosa voglia dire guardare a Gesù e scoprire l’amore. Indico, a questo scopo, i segni dell’amore: prima di tutto i bambini». «Il bambino nasce  con un “marchio di fabbrica” – ha spiegato mons. Mazzocato -: l’essere stato chiamato alla vita per amore, è questo il presupposto che ogni bambino ha nel cuore» e che naturalmente attende di trovare risposta. Un segno positivo sta nell’esempio di tanti cristiani che avendo accolto nel cuore l’amore di Gesù danno frutti d’amore donandosi con gratuità e fedeltà.

«Si vede che veniamo dall’amore anche in negativo – ha spiegato mons. Mazzocato -, nel senso che vediamo quanto ci rattristano le ferite». E proprio rispetto a queste “ferite” l’Arcivescovo dedica una parte della lettera pastorale per incoraggiarci a prenderne coscienza. «Anche in questo caso faccio alcuni esempi – ha precisato l’Arcivescovo – tra questi ce ne sono alcuni che potrebbero pesare». Prime e principali tra queste ferite ci sono quelle ai bambini, «la nostra società deve prendere coscienza che ferisce le attese di amore dei bambini cominciando dall’aborto, i bambini sono poi le prime vittime delle crisi familiari, bisognerebbe avere l’onestà di dire cosa succede nelle separazioni e dire come mai le vittime indifese sono proprio loro». Il pensiero di mons. Mazzocato è poi andato ai bambini che nel mondo sono profughi, ma anche ai bambini soldato e quanti vivono gravi situazioni di conflitto. L’altra grande ferita individuata dall’Arcivescovo è l’omertà nei confronti della famiglia, l’evidente azione socio culturale volta a non parlare più di quella che viene chiamata “famiglia tradizionale”. C’è poi – per l’Occidente – «la ferita di aver escluso Dio come riferimento della vita, averne tagliato la dimensione trascendente». C’è poi la cultura dell’indifferenza e dello scarto, in cui ci si abitua ai poveri che diventano invisibili. Nella lettera pastorale naturalmente non manca un segnale di speranza e cioè la possibilità di guarire da queste. Fondamentale dunque un cammino di conversione, quella che san Paolo indica nella lettera ai Corinzi come “la via sublime”, la via della carità.

«La terza parte della lettera – ha concluso l’Arcivescovo – è legata all’affermazione di Gesù secondo cui  i cristiani sono autentici solo se mostrano frutti di carità. Invito dunque la diocesi e le comunità cristiane a una verifica rispetto a quanto mostriamo i segni della carità. Indico dunque una decina di segni che le nostre comunità cristiane devono avere presenti, dalla famiglia alle “vocazioni per sempre”, fino all’attenzione per gli anziani e i malati. Tra questi anche la politica come “amore a servizio del bene comune”, e su questo, come noto a ottobre prenderà avvio in diocesi la Spes, la Scuola di formazione politica.

 

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