La Chiesa celebra la 105ª Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato

Domenica 29 settembre la Chiesa celebra la 105ª Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato che quest’anno ha per titolo «Non si tratta solo di migranti». Anche la Chiesa udinese vuole ricordare questa giornata e invita così tutte le parrocchie a prestare attenzione, in modo particolare durante le celebrazioni della Santa Messa, a questa ricorrenza, valorizzando, se possibile, le comunità migranti che ne fanno parte. Pubblichiamo qui di seguito la riflessione del direttore dell’Ufficio diocesano Migrantes, don Charles Maanu.

Nel messaggio per la 105ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato Papa Francesco (qui il testo integrale del messaggio «Non si tratta solo di migranti») fa una foto realistica delle situazioni di ingiustizie e discriminazioni a livello globale che ricadono sempre sui più poveri. Si verifica una crescita dell’individualismo e dell’indifferenza sempre più globalizzata.
Come suggerisce il titolo del messaggio, riflettere sul tema riferito ai migranti e rifugiati non significa focalizzare l’attenzione su una categoria specifica ma, in una visione più ampia, riguarda l’atteggiamento verso l’altro e «rappresenta un campanello d’allarme che avvisa il declino morale a cui si va incontro se si continua a concedere terreno alla cultura dello scarto». Il tema ci ricorda che quando si parla degli altri si parla anche di noi stessi. Non c’è, infatti, un «io» senza un «tu», non c’è esistenza umana se non nell’ambito della relazione con gli altri, non c’è esperienza di fede autentica e di appartenenza ecclesiale se non all’interno di relazioni comunionali. Non si è veramente umani, dunque, se qualcosa che riguarda l’essere umano non ci tocca più o, peggio, se suscita in noi durezza, ostilità, chiusura. Quello che oggi può apparire una questione solo dei migranti, in realtà, riguarda tutti, perché è in gioco il presente e il futuro della famiglia umana.
L’esperienza dell’esodo biblico resta per il popolo di Israele un invito costante all’accoglienza dello straniero, chiamandolo a rapportarsi ad esso in modo non ostile e diffidente, ma amichevole e fraterno. Tutta la storia biblica ci ricorda che la vita è un cammino, un pellegrinaggio, un viaggio che porta con sé innumerevoli occasioni di incontro con volti diversi che lasciano tracce, scavano solchi, interpellano l’esistenza a farsi generosa e accogliente, a diventare vita a braccia aperte. E il Signore Gesù, il Dio nel quale crediamo, è colui che viene nella parola, nei sacramenti, e che, come recita il prefazio dell’Avvento, «viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo». Egli viene a visitarci non solo dove lo aspettiamo con consapevolezza, nello spazio che classifichiamo come “sacro”, “liturgico”, ma anche in quello – altrettanto sacro – della carne umana che Dio ha visitato una volta per tutte con l’incarnazione del Figlio suo.
Il cristiano, ospitato in una terra che non gli appartiene, ha l’occasione di diventare ospitante nei confronti di chi gli chiede aiuto, di chi fugge da guerre, carestie e torture. Per questo il Nuovo Testamento mette l’accento sulla capacità dei battezzati di praticare l’ospitalità tra credenti (cf. Rm 12,13; 1Pt 4,9), ma anche verso gli stranieri, requisito imprescindibile per essere epískopos, cioè leader di una comunità cristiana (cf. 1Tm 3,2). L’incontro con altre nazioni e culture diventa provocazione ad allargare gli orizzonti ed esperienza di crescita e arricchimento che muove non ad assimilare il diverso, ma ad accettare la fatica del confronto e del dialogo.
Oggi c’è chi pensa che gli esclusi della società sono come un prezzo da pagare per garantire la sicurezza, un’idea che difficilmente si riesce a mettere in discussione. Il problema più grande non è il fatto di avere dubbi e incertezze verso chi cerca rifugio e accoglienza, ma il fatto che questi dubbi e incertezze mi privano del desiderio e della capacità di incontrare l’altro, condizionano il mio modo di pensare e di agire verso l’altro, la persona diversa da me, privandomi di un’ occasione di incontro col Signore. Lui che ha detto ai discepoli nel Vangelo: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”.
La giornata del Migrante e Rifugiato è un aiuto per riflettere sulle nostre paure, sulla nostra incapacità di coltivare la cultura dell’incontro. Papa Francesco incoraggia tutti noi a “recuperare alcune dimensioni essenziali della nostra esistenza cristiana e della nostra umanità, che rischiano di assopirsi in un tenore di vita ricco di comodità”. Interessandoci degli altri ci interessiamo anche di noi, ci interessiamo di tutti. Non si tratta di pensare soltanto ai migranti, contrapponendoli agli italiani. Si tratta di tutta la persona, di tutte le persone ed in particolare di più poveri, dei disagiati. È la missione della Chiesa verso tutti gli abitanti delle periferie esistenziali, che devono essere accolti, protetti, promossi e integrati.

don Charles Maanu

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