La sua bianchissima facciata domina l’odierna Piazza del Patriarcato, in pieno centro a Udine, da circa trecento anni, a incorniciare un edificio di culto che da quasi sette secoli è “la chiesa dei Patriarchi”. Ebbene, quella chiesa, dedicata a Sant’Antonio abate, vedrà nuova luce a partire dal 29 aprile, quando i suoi battenti riapriranno alla città dopo alcuni lavori di restauro.
Fino in tempi recenti, molti varcavano la soglia di questa chiesa per ammirare esposizioni e mostre, grazie a un allestimento permanente. Allestimento la cui rimozione lascia ora intravedere i lacerti di affreschi trecenteschi e le tombe dei patriarchi: la chiesa, infatti, ospita le tombe di Francesco ed Ermolao II Barbaro, oltre a Dionisio e Daniele Dolfin (ultimi due Patriarchi di Aquileia, seppur residenti a Udine).
La chiesa è di proprietà dell’Arcidiocesi di Udine, sotto la gestione dell’attiguo Museo diocesano e Gallerie del Tiepolo ed è un edificio ancora consacrato, sebbene non adibito al culto. Il progetto di riqualificazione promosso dall’Arcidiocesi di Udine con il supporto del Museo Diocesano è stato possibile grazie all’importante sostegno della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia per mezzo dei programmi regionali cofinanziati PR FESR 2021-2027 e del finanziamento su L.R. 16/2023, art 6 commi da 49 a 53.
Trent’anni del Museo diocesano nel Palazzo patriarcale

Statua di Sant’Antonio abate con, sopra, lo stemma dei patriarchi Delfino
La data scelta per la riapertura della chiesa di Sant’Antonio non è casuale: il 29 aprile del 1995 – esattamente trent’anni fa – si inaugurava la nuova sede del Museo diocesano nel Palazzo patriarcale. Il Museo, che fino ad allora era ospitato nell’ex seminario di viale Ungheria, trovava quindi la sua collocazione attuale grazie all’opera congiunta dei compianti mons. Gian Carlo Menis e dell’arcivescovo mons. Alfredo Battisti.
Quella del 29 aprile non sarà dunque una festa per la sola chiesa di Sant’Antonio, ma per tutto il complesso museale diocesano, che ora potrà contare su un novero di spazi complementari e contigui tra loro dal punto di vista culturale, storico e, appunto, spirituale. Lungo tutto l’anno del trentennale, il Museo proporrà eventi e iniziative.
L’inaugurazione
L’evento inaugurale del 29 aprile, che per questioni di sicurezza vedrà la partecipazione di un numero ristretto di invitati, prevede una benedizione della restaurata chiesa e i discorsi di rito. A inframmezzare i vari momenti saranno alcune esecuzioni corali da parte della Cappella musicale della Cattedrale di Udine.
La “chiesa dei Patriarchi”

Dettaglio di una delle statue del cancello del sagrato – oggetto di futuro restauro – con, sullo sfondo, la facciata con lo stemma dei Delfino
La chiesa di Sant’Antonio era, in origine, un edificio in stile gotico risalente al XIV secolo; fu consacrata dal patriarca Nicolò di Lussemburgo, successore del Beato Bertrando, nel 1354. Dopo il trasferimento del patriarca dal castello di Udine al nuovo palazzo, nel 1593, la chiesa divenne cappella patriarcale. Accanto alla chiesa, sul lato sud, si svilupparono gli edifici che furono adibiti a Ospedale di Sant’Antonio, la cui gestione medica fu affidata agli Antoniani. Il complesso, comunemente chiamato “casa di Sant’Antonio”, diverrà col tempo sede del Patriarca e nei secoli si evolverà in quello che oggi conosciamo come Palazzo patriarcale, residenza vescovile e sede del Museo Diocesano e Gallerie del Tiepolo.
La facciata della chiesa fu realizzata tra il 1731 ed il 1734 da Giorgio Massari, su commissione del patriarca Dionisio Dolfin. Vi si trovano le nicchie di due statue delle allegorie della Carità e della Giustizia, opere di Antonio Gai, e in un ovale posto sopra il portale d’ingresso, il busto di Dionisio Dolfin dedicatogli dal nipote e successore Daniele Dolfin e scolpito da Giovanni Maria Morlaiter. Al centro del timpano si ammira lo stemma comune dei patriarchi Dolfin (con i celebri tre delfini) mentre a coronamento sono le statue di Sant’Antonio abate, al centro, e ai lati quelle di due santi protomartiri Ermagora e Fortunato in abiti vescovili – una scelta precisa volta a ricordare le origini della diocesi di Aquilea –, anche queste scolpite dal Gai.
All’interno della chiesa si trovano le tombe di quattro tra gli ultimi patriarchi di Aquileia: sulla parete destra sorgono i monumenti funebri di Francesco Barbaro ed Ermolao II Barbaro; e a terra le più semplici lapidi di Dionisio Dolfin e Daniele Dolfin, sepolti nella cripta a oggi inaccessibile.
La chiesa è priva dell’altare a mensa post-conciliare: sull’altare maggiore svetta la statua di sant’Antonio abate, opera di Giovanni Maria Morlaiter del 1737. Alle pareti della chiesa sono riaffiorati ampi lacerti di pitture trecentesche, residuo di quello che doveva essere uno spettacolo d’arte per chi varcava la soglia; tra queste opere risplende ancora oggi la Madonna in trono col Bambino e santi.
L’ultimo Vescovo a celebrare la Messa in questa chiesa fu mons. Zaffonato negli anni Settanta. Dopodiché l’edificio fu destinato a un uso non liturgico.
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