L’Arcivescovo alle esequie di don Alfonso Barazzutti: «In Cristo la strada della sua vita»

«Di don Alfonso ognuno porta nella mente e nel cuore un ricordo personale che credo sia pieno anche di sentimenti di stima, di riconoscenza e di sincero affetto. Trasformiamo questi sentimento in preghiera per lui e ce sarà riconoscente davanti a Dio. Da parte mia, dopo aver letto il testamento spirituale che ci ha lasciato, ho pensato che la cosa più giusta fosse quella di ricordarlo con le sue stesse parole che egli ha scritto per noi; e sono convinto che questo sia gradito anche a don Alfonso. Sono dei pensieri nei quali egli riassume tutta la sua vita e, specialmente, ci rivela la parte più profonda e sincera del suo cuore. Leggendoli ho ritrovato il suo animo delicato, quasi di fanciullo, portato a contemplare la bellezza e la bontà della natura e delle persone che egli aveva incontrato nell’amata San Rocco, dove era giunto con la famiglia dalla Francia e, poi, nei paesi di Madonna di Buia e Moggio, dove era stato cappellano e, successivamente a Resia, Susans e San Tomaso da parroco. Scrive: !Fin da fanciullo mi sono considerato un amante e ricercatore della bontà. Stavo bene dove incontravo il bene; stavo male quando incontravo il male. Tanti erano i semi di bontà: nel creato, che mi estasiava, e in tante persone, piccole e grandi”. Sono brevi cenni di un animo quasi contemplativo». Così l’arcivescovo di Udine, mons, Andrea Bruno Mazzocato, nell’omelia pronunciata alle esequie di Alfonso Barazzutti, celebrate lunedì 27 giugno a Susans, parrocchia che il sacerdote aveva guidato per trent’anni.

 

«Nel testamento – ha proseguito mons. Mazzocato – don Alfonso apre ancor di più il cuore e ci rivela qual è il segreto profondo per il quale egli è vissuto, è diventato sacerdote e ha speso tutte le sue energie a servizio della Chiesa e dei fratelli. Inizia il suo scritto con una specie di titolo: “Conosciuto il Cristo, ho trovato la strada della mia vita». E più avanti aggiunge: «Nessuno riusciva a darmi quanto cercavo e desideravo, fino a quando non rimasi affascinato dal Cristo. Di Lui mi colpì la presentazione di Giovanni il Battista: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo”. Queste parole don Alfonso sono veramente una grande testimonianza di fede: trovato Cristo aveva trovato tutto e per amor suo voleva vivere e morire. Sembra quasi di risentire S. Paolo».

 

«Questa passione per Gesù Cristo ha animato il suo sacerdozio che ha vissuto come partecipazione alla missione stessa di Cristo. Ecco ancora alcune sue espressioni: «Essere con Lui per combattere contro il peccato, per lottare contro il male. Noi preti non possiamo mai venire a patti con il Male. La lotta non è facile, è dura e ci accompagna per tutta la vita. Solamente nel momento in cui accettiamo di essere “agnello di Dio” che si sacrifica lentamente, siamo dei Cristi viventi e, solo allora, la nostra Messa è autentica».

 

«Vivere con questo spirito il suo sacerdozio non è stato facile per don Alfonso come lui stesso confessa: «Il mio si non è sempre stato facile. Ma in ogni mia Messa, prima della Comunione, ho pregato sempre con tanta fede ed emozione: “Fa’ che io sia sempre fedele e non mi separi mai da te». La fede nel Signore Gesù, che incontrava al momento della comunione eucaristica è stata la vera roccia che lo tenuto saldo anche nei momenti della bufera. Concludo questo ricordo di don Alfonso, fatto attraverso le sue stesse parole, leggendo le ultime frasi del testamento spirituale che lui riserva a tutti coloro che lo hanno conosciuto e amato: “Vedo passare davanti ai miei occhi i fedeli di Lovea, Socchieve, Madonna di Buia, Moggio Udinese, Resia, San Rocco, Susans, San Tomaso, con tutti i miei parenti, partendo da mio padre e mia madre e i tanti amici che mi hanno beneficato. Ho trovato ovunque tanta attenzione e venerazione per il sacerdote, specialmente dalle pie donne che hanno cercato di seguire questo povero cristo. Posso dirvi: ricordo solo il bene e il bello che assieme abbiamo vissuto e ricevuto. Il male l’ho sempre dimenticato e seppellito”».

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