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Sono tanti i modi per ricordare gli eventi storici di una comunità. Non possono certo mancare le celebrazioni solenni; personalmente penso che il gesto più significativo sia quello di mettere in luce i segni che ne scandiscono il percorso nella storia. Così abbiamo fatto nel 2009 con degli interventi di restauro sul campanile a cinquanta anni dalla sua fondazione. Così ci accingiamo a fare per il 150° della fondazione del Duomo con l’inserimento di trenta nuovi banchi in noce a sostituire le sedie di paglia e con la collocazione delle statue dei Ss. Pietro e Paolo sull’altare maggiore.
A dire il vero, da tempo, il Duomo è segno di grande attenzione per renderlo caldo ed accogliente al di là della sua impressionante ampiezza. In questi anni sono state completamente restaurate tutte le vetrate; ne sono state aggiunte delle nuove per illuminare i due ingressi; sono stati restaurati gli immensi portoni; in altra occasione è stata «ripulita» la famosa Pala del Martini, riassettate le scale di accesso ai campaniletti e creato un percorso di sicurezza per la manutenzione e l’accesso al «minareto». Ora ci attende un appuntamento importante in vista della solennità degli Apostoli Pietro e Paolo, titolari del Duomo. Da alcuni anni le comunità cristiane della Forania di Mortegliano condividono questa solennità partecipando all’eucaristia con le loro croci astili a scandire un comune percorso pastorale, affidato alla protezione degli apostoli.
Quest’anno, in particolare, la celebrazione che si terrà domenica 29 giugno, alle 19.00, assumerà anche un connotato storico perché, in tale occasione, verranno insediate ufficialmente sull’altare maggiore le statue di S. Pietro e S. Paolo a sostituire quelle di marmo preesistenti e giustamente ricollocate sull’altare originario della Chiesa della SS. Trinità, in occasione del suo completo restauro. Grazie alla disponibilità del Museo Diocesano e delle Gallerie del Tiepolo e alla sensibilità del suo Direttore, prof. Giuseppe Bergamini, il nostro Duomo sarà meno spoglio, potendo accogliere sul suo altare maggiore la presenza dei suoi titolari.
Si tratta di due statue lignee ottocentesche, dipinte in finto marmo bianco secondo l’uso del tempo, opera dignitosa di un intagliatore friulano ignoto, che nel 1958 sono divenute proprietà del Museo grazie a donazione della Basilica della Beata Vergine delle Grazie di Udine. Tramite un comodato vengono a far parte anche del nostro patrimonio pur rimanendo di proprietà del Museo. Sono convinto che si tratti di un’operazione assai valida dal punto di vista culturale perché vien dato uno spazio di maggior fruibilità alle statue dal momento che il Duomo è aperto ai visitatori ogni giorno. Ma credo che il significato più pregnante sia rappresentato dal fatto che costituiscono un segno rinnovato del percorso di fede di più comunità, che nella storia si sono affidate ai testimoni originari della Chiesa.
Restaurare e accogliere nel nostro Duomo i Santi Pietro e Paolo scandisce esplicitamente la volontà di questa comunità cristiana di fare memoria del suo passato e di rivivere la sua storia religiosa nella modernità. Vuol liberarsi, dunque, dai meandri della solita cronaca quotidiana, che impasta la vita perché appiattita sull’immediato, e ritrovare la sequenza intima di un evento aperto sull’orizzonte infinito ed eterno di Dio, origine e perenne attrazione di ogni attesa umana.
Ricordare i Santi Pietro e Paolo come garanti della fede della nostra comunità è penetrare nell’archivio di questa storia di salvezza per percepirne i palpiti e per condividere le movenze. Penso che valorizzare i segni non significhi rituffarsi nostalgicamente nel passato per sfuggire all’onda impetuosa del presente, condizionando la ricerca e le attese, ingessando prematuramente il futuro. Credo sia un grande segno di vitalità e, nel confronto, una confortante occasione di rinnovamento. È importante riscoprire ed apprezzare l’eredità spirituale che abbiamo ricevuto per riviverne creativamente il senso e tramandarlo alle nuove generazioni col gesto convincente della testimonianza. È assaporare intensamente il presente con lo sguardo sempre aperto verso il futuro per condividere la tensione di una storia, che ci ha preceduto e che siamo chiamati a proiettare in avanti, oltre ogni chiusura e piattezza.
L’amore per il segno religioso, in particolare, ci sospinge a percepire in ogni avvenimento la presenza di un Dio, premuroso e paziente, che accompagna i passi dell’uomo lungo i sentieri della storia e che ripropone dinamicamente ad ogni generazione l’esperienza di una nuova umanità in viaggio verso la pienezza secondo la misura della maturità di Cristo.
Per questo avremo sempre cura e amore per i segni: per il loro valore storico e artistico, ma più ancora per rivivere insieme il tempo di grazia nell’incontro col Signore.
mons. Giuseppe Faidutti, parroco di Mortegliano