L’Arcivescovo ai funerali di mons. Marco Del Fabbro: «In lui era radicato il sentimento evangelico del servizio»

«Nel suo animo era radicato il sentimento evangelico del servizio; di un servizio a Dio e ai fratelli fedele e coscienzioso, spoglio da ogni bisogno di affermazione di sé o di riconoscimento pubblico. «Si sentiva uno di quei servi ai quali – come indica la parabola di Gesù – il padrone affida gli altri servi con la responsabilità di provvedere, nel modo migliore, alle loro necessità». Con queste parole l’arcivescovo di Udine, mons. Andrea Bruno Mazzocato, ha ricordato - oggi durante le esequie in duomo a San Daniele - mons. Marco Del Fabbro, parroco e vicario foraneo di San Daniele, spirato giovedì 19 aprile.

«Nel suo animo era radicato il sentimento evangelico del servizio; di un servizio a Dio e ai fratelli fedele e coscienzioso, spoglio da ogni bisogno di affermazione di sé o di riconoscimento pubblico. Si sentiva uno di quei servi ai quali – come indica la parabola di Gesù – il padrone affida gli altri servi con la responsabilità di provvedere, nel modo migliore, alle loro necessità». Con queste parole l’arcivescovo di Udine, mons. Andrea Bruno Mazzocato, ha ricordato mons. Marco Del Fabbro, parroco e vicario foraneo di San Daniele, spirato giovedì 19 aprile (qui la notizia). Nell’omelia pronunciata durante le esequie, oggi sabato 21 aprile, a San Daniele, in duomo gremito di fedeli, l’Arcivescovo ha anche espresso un forte sentimento di riconoscenza nei confronti di mons. Del Fabbro: « La riconoscenza credo sia il sentimento che, in questo momento, proviamo anche noi verso don Marco; unita, certamente, ad un sincero dolore perché egli lascia un grande vuoto nella nostra diocesi, nel presbiterio, nelle comunità cristiane di cui era parroco o amministratore e nel cuore di ognuno di noi». E ha proseguito: «Personalmente (e penso di interpretare anche mons. Brollo) devo tanti grazie a don Marco che è stato per me un sicuro punto di riferimento in questi anni di ministero episcopale a Udine: sempre saggio e libero nei consigli che gli chiedevo, fraterno nell’accogliere i confratelli che gli ho inviato, generoso nel caricarsi il peso di nuove parrocchie da seguire, alleato nei progetti diocesi che stiamo costruendo. Quando, poi, si è sentito alla fine, mi ha fatto chiamare perché voleva vicino il suo vescovo per pregare con lui nel momento della prova estrema e per ricevere da lui l’ultima assoluzione.  È una grazia per un vescovo accompagnare in questo modo un suo sacerdote verso il passo della morte e dell’incontro finale con il Signore. Tanta riconoscenza verso don Marco la provano i suoi confratelli. Quanti ne ha aiutati come padre spirituale, come vicario generale e anche durante gli anni di parroco! Aveva maturato, con la preghiera e lo studio, il dono prezioso del discernimento per cui è stato consigliere discreto e sicuro per  tanti sacerdoti, specialmente nei momenti di difficoltà. E poi aveva nel cuore una genuina carità fraterna che ha cercato di tenere viva dentro il presbiterio guidato dalle parole di Gesù che frequentemente citava: “Da questo sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”.  Ha vissuto per primo questo comando del Signore accogliendo i confratelli con delicatezza, pazienza, intelligenza».

 

Di seguito il testo integrale dell’omelia.

Cari Fratelli e Sorelle,

ho scelto come vangelo di questa Santa Messa di esequie in suffragio del nostro amato e stimato don Marco Del Fabro la parabola del servo fedele perché l’ho sentita come il suo ritratto spirituale.

Da quando ho avuto l’opportunità di conoscere e di frequentare don Marco, ho percepito che nel suo animo era radicato il sentimento evangelico del servizio; di un servizio a Dio e ai fratelli fedele e coscienzioso, spoglio da ogni bisogno di affermazione di sé o di riconoscimento pubblico. Si sentiva uno di quei servi ai quali – come indica la parabola di Gesù – il padrone affida gli altri servi con la responsabilità di provvedere, nel modo migliore, alle loro necessità. Essere stato chiamato al sacerdozio significava per don Marco sentirsi investito del compito di «amministratore fidato e prudente» sul quale Gesù, Buon Pastore, aveva posto una particolare fiducia affidandogli i tesori preziosi della sua Parola e dei suoi sacramenti da distribuire con fede e con sapienza a tutti.

Ha speso i giorni della sua vita come servo fidato e prudente, consumando anche le ultime energie per le comunità cristiane affidate alla sua cura pastorale. Più volte aveva espresso il desiderio di morire da parroco. Così è avvenuto. Il Signore, quando lo ha visitato nella morte, lo ha trovato al suo posto di lavoro, servo fedele fino alla fine.

Per questo crediamo Gesù abbia mantenuto la sua promessa; che abbia già fatto sedere don Marco al banchetto della festa eterna dove egli avrà ritrovato tra i commensali molte persone a cui ha voluto bene e che ha servito: i suoi vescovi (mons. Battisti, in particolare, a cui era fortemente legato), tanti confratelli sacerdoti morti prima di lui e volti noti di fratelli e sorelle che lo accolgono con festosa riconoscenza.

La riconoscenza credo sia il sentimento che, in questo momento, proviamo anche noi verso don Marco; unita, certamente, ad un sincero dolore perché egli lascia un grande vuoto nella nostra diocesi, nel presbiterio, nelle comunità cristiane di cui era parroco o amministratore e nel cuore di ognuno di noi.

Ora don Marco ci chiede di trasformare la nostra riconoscenza e di contraccambiare quanto abbiamo da lui ricevuto con la preghiera con la quale lo accompagniamo davanti al Padre della misericordia.

Personalmente (e penso di interpretare anche mons. Brollo) devo tanti grazie a don Marco che è stato per me un sicuro punto di riferimento in questi anni di ministero episcopale a Udine: sempre saggio e libero nei consigli che gli chiedevo, fraterno nell’accogliere i confratelli che gli ho inviato, generoso nel caricarsi il peso di nuove parrocchie da seguire, alleato nei progetti diocesi che stiamo costruendo. Quando, poi, si è sentito alla fine, mi ha fatto chiamare perché voleva vicino il suo vescovo per pregare con lui nel momento della prova estrema e per ricevere da lui l’ultima assoluzione.  È una grazia per un vescovo accompagnare in questo modo un suo sacerdote verso il passo della morte e dell’incontro finale con il Signore.

Tanta riconoscenza verso don Marco la provano i suoi confratelli. Quanti ne ha aiutati come padre spirituale, come vicario generale e anche durante gli anni di parroco! Aveva maturato, con la preghiera e lo studio, il dono prezioso del discernimento per cui è stato consigliere discreto e sicuro per  tanti sacerdoti, specialmente nei momenti di difficoltà. E poi aveva nel cuore una genuina carità fraterna che ha cercato di tenere viva dentro il presbiterio guidato dalle parole di Gesù che frequentemente citava: «Da questo sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».  Ha vissuto per primo questo comando del Signore accogliendo i confratelli con delicatezza, pazienza, intelligenza.

E voi, cari fratelli e sorelle, che avete avuto don Marco come vostro parroco porterete sempre qualcosa di lui dentro di voi: un po’ della sua fede, della sua passione per la Parola di Dio, della sua delicatezza di padre e pastore che vi ha consolati in momenti di prova e di dolore, della sua passione per la formazione delle coscienze specialmente dei piccoli e dei giovani, della sua paziente fermezza nel costruire comunione tra le persone e le comunità.

Uniamo, allora, i nostri cuori in preghiera sostenuti dalla fede e dalla speranza che don Marco ha vissuto e testimoniato in mezzo a noi. San Paolo ci ha detto parole consolanti: «Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore». Possiamo unire all’offerta del sacrificio di Cristo l’offerta della vita di questo suo sacerdote perché  vissuto per il Signore ed è morto nel Signore.

Interceda per noi, per i suoi familiari che tanto gli sono stati vicini, per le persone che lo hanno sostenuto nei giorni della debolezza e della malattia e per tutta la sua Chiesa di Udine che ha intensamente amato e servito.

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